Copertine a confronto
domenica 21 agosto 2016
Giuseppe Pontiggia, La grande sera
Tutti fingono di attendere chi é scomparso ma rimangono chiusi nei loro egoismi e nelle loro menzogne.
Io non credo, però, che nelle relazioni umane sia sempre sera e che non ci sia mai nulla di vero, di semplice, di pulito.
La copertina dell'edizione che ho letto, quella della collana Novecento Italiano della San Paolo, insiste sulla scomparsa dell'uomo, della sua assenza che é segno di una sua non esistenza. Forse, però, migliore é la copertina dell'edizione Mondadori, che mostra lunghe ombre di sconosciuti persi in mezzo ad una piazza: il romanzo é la riflessione su un'assenza più che su un assente.
venerdì 12 agosto 2016
Giovanni Arpino, Una nuvola d'ira
Struggente il personaggio di Matteo, uomo semplice, amante della caccia e della pesca, che si lascia corrodere dalla gelosia ma non sa nominare il sentimento (così borghese e così umano) che prova in fondo al cuore.
Bellissimo il finale.
martedì 2 agosto 2016
domenica 10 luglio 2016
UNO SCRITTORE AL MESE: Giuseppe Pontiggia
GIUSEPPE PONTIGGIA (Como 1934-Milano 2003) è stato uno scrittore lombardo di grande eleganza e acutezza. Una scrittura per ‘arte di levare’. Levare il superfluo per lasciare solo la parola nella sua estrema chiarezza e lucidità. Ma il racconto così apparentemente lineare della realtà non semplifica il mondo, ma lo mostra nella sua ambiguità e ipocrisia. Non si può non apprezzare la sua acutezza, anche se in alcuni testi mi è parso troppo cerebrale e freddo. Non così nel romanzo Nati due volte, molto emozionante (anche se l’autore mantiene sempre il controllo razionale, pur nella sofferenza così autobiografica). Da notare anche la propensione dell’autore all’autocorrezione, alla riscrittura dei propri testi, all’interminabile opera di revisione: segno di ansia di perfezione, ma anche di grande umiltà. |
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HO LETTO |
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La morte in banca e altri racconti (1952) Opera prima di Pontiggia, non ancora ventenne. L’ingresso nel mondo del lavoro diventa una discesa agli inferi, una morte. Un anticipo della letteratura del boom economico. Straordinari nella loro fulmineità i racconti. |
Il giocatore invisibile (1978) C’è un anonimo che denuncia una disattenzione etimologica del Professore: la sua etimologia del termine ipocrita è scorretta. Chi ha scritto questo pungente articolo? Perché odia così tanto il professore? |
Il raggio d’ombra (1983) Chi è davvero Losi? Il comunista che sfugge ai regime o una spia fascista? E per quale motivo agisce così? E quali conseguenze può avere la paura di Mariano su tutta la vicenda? Tante domande, nessuna risposta |
Nati due volte (2000) Un romanzo coraggioso anche perché autobiografico. Certo Paolo, il ragazzino disabile protagonista del romanzo, non corrisponde del tutto al profilo del figlio di Pontiggia, né il protagonista è solo una proiezione dell’autore. Ma trasfigurare è il modo migliore per capire! |
mercoledì 6 luglio 2016
Giovanni Arpino, La suora giovane
IL LIBRO IN BREVE |
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La suora giovane è un romanzo breve ma prezioso, scritto da Giovanni Arpino nel 1959. Mathis, un quarantenne torinese che non si aspetta più nulla dal grigiore della sua vita, si innamora di una giovane novizia, non ancora ventenne. La sua figura pura porta un desiderio di vita e di cose belle nella mente annoiata dell’impiegato, che rinuncia ad una vacua fidanzata pur di inseguire il sogno di questo nuovo amore: nuovo, perché Serena è giovane, ma anche perché il sentimento di Mathis è qualcosa di nuovo. Reggerà questo amore alla prova della realtà, quando Serena si dimostrerà più scaltra ed avveduta di quanto Arpino ci abbia lasciato immaginare? |
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DA LEGGERE IN FRETTA |
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Un centinaio di pagine da leggere in fretta, anche perché chi legge non vede l’ora di sapere come finisce; e alla fine non lo sa (il romanzo si chiude magistralmente in stazione, di fronte ad una tabella oraria: Mondovì o Ferrara?) |
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LE COPERTINE |
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Einaudi, 1959 |
Einaudi, 1962 |
Mondadori (Il bosco), 1966 |
Mondadori (Oscar), 1976 |
Garzanti, 1988 |
Dalai editore (I tascabili), 2011 |
Le copertine individuano tre elementi del romanzo: · l’anonima città di Torino in cui tutti si muovono con velocità (anche i nostri personaggi), · Serena, la suora giovane, che non si mostra e fugge via: nessuno riesce a prenderla, nemmeno Mathis · Mathis in collina guarda fuori dalla finestra: ipotizzando il suo futuro, sta scoprendo la sua identità. Mi piace molto la copertina della Garzanti, ma la più coerente con il fascino del romanzo è senz’altro quella dell’editore Dalai. |
sabato 2 luglio 2016
Eraldo Affinati, L'uomo del futuro
lunedì 27 giugno 2016
Eraldo Affinati, L'uomo del futuro
Eraldo Affinati, L’uomo del futuro
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Eraldo
Affinati
L’uomo
del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani
Mondadori
(Scrittori italiani e stranieri)
Milano
2016
Pagg.
177
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Il nuovo libro di Eraldo Affinati ricostruisce la vicenda
e la passione educativa di don Lorenzo Milani (1923-1967), il priore della
Scuola di Barbiana, l’uomo del futuro che ha rinunciato alla sua condizione
di giovane intellettuale borghese per stare dalla parte dei più poveri.
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Leggere i libri di Affinati è come partire per un
viaggio nello spazio e nel tempo, Ce lo dice anche il sottotitolo
dell’opera: sulle strade di don Milani. Lo scrittore, infatti,
percorre fisicamente le strade del prete di Barbiana e in questi luoghi cerca
di ricostruire la sua biografia.
Incontra uomini e donne che hanno conosciuto don Lorenzo:
vorrebbe conoscere i suoi segreti, ma più parla del sacerdote, più si accorge
che egli gli sfugge.
Lo scrittore prende coscienza, allora, che possiamo
ricostruire la vita di un grande uomo solo se lo lasciamo parlare attraverso
la nostra esperienza.
Ecco allora che protagonista della vicenda diventa
Affinati con i suoi alunni e amici della Città dei Ragazzi, con le sue
domande sulla questione educativa, con le sue indagini di senso.
Lo spazio e il tempo si dilatano, le esperienze si accumulano, i testimoni
permettono di capire:
Ø Gambia (2012), una scuola dispersa ai margini
della foresta, un maestro che è un ingranaggio essenziale nella vita
della comunità, brevi cenni al viaggio in Gambia – già raccontato in Vita di Vita
-
Ø Berlino (2013), Manfred, gioventù spezzata, spirito
inquieto, in una scuola della periferia berlinese, incontro l’Affinati di
Berlin
Ø Marocco (2007), l’incontro straordinario con un imam
cieco, primo maestro di Omar e Faris, ora emigrati in Italia ed allievi di
Affinati, raccontato in La città dei
ragazzi
Ø New York (2010), Ellis Island, il museo
dell’immigrazione e i ciociari che non ce l’hanno fatta.
Ø Pechino (2010), un doposcuola a Pechino
Ø Benares (2003), la casa di Madre Teresa in una grande
città indiana, come le strade della fuga di Secoli di
gioventù
Ø Città del Messico (2010),
Ramiro, prete impegnato nel recupero dei ninos de rua della Città degli
Angeli,
Ø Volgograd (2002), la vicenda di Ivan, giovane russo antimilitarista
in Cecenia
Ø Hiroshima (2005), Okamoto, uno degli ultimi
sopravvissuti dell’esplosione atomica del 1945, già protagonista in Storie di
viaggi, bombe e scrittori
Ø e da ultimo Roma (2014), Affinati gira per la parrocchie di
Roma alla ricerca di un luogo per la scuola per stranieri Penny Wirton nella
quale insegna.
Così, quando arrivo di fronte
a don Francesco, l’ultimo dei miei preti, dalle parti di via dei Serpenti,
prima ancora di esprimermi, gli chiedo quali siano stati i suoi punti di
riferimento. Lui risponde secco: “Paolo VI”
“E poi?”
“Te ne dovrei citare due.”
“Coraggio.”
“Don Primo Mazzolari e don
Milani.”
A quel punto, anche se
l’ambiente di cui dispine mi sembra inadeguato e non potremo usufruirne, lo
abbraccio riconoscente. Amo credere che il priore, nascosto dietro di noi,
lasci scorrere i titoli di coda.
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Don Milani è una figura eccezionale
sia per la radicalità delle sua scelta sia per le novità anticipatrici di
istanze che emergeranno con forza in Italia qualche anno dopo la sua morte.
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Affinati condivide con don Lorenzo
l’amore per l’educazione, nella predilezione per gli ultimi, i diseredati:
questo permea tutte le pagine del testo.
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Il libro può essere letto in
riferimento agli altri testi di Affinati (ed allora si sente ancora di più il
legame fra l’esperienza dell’autore e le vicende che racconta), ma anche da
solo (ed allora emerge nella folla di nomi e luoghi la straordinaria figura
del priore di Barbiana).
Affinati ha una scrittura
affascinante, ricca di riferimenti letterari, ma attenta sempre
all’interpretazione dell’oggi: mai diventa sfoggio di erudizione, sempre ha
una forza di trasformazione personale e sociale.
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mercoledì 22 giugno 2016
Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan
Andrea Tarabbia
Il demone a Beslan
Mondadori
(Scrittori italiani e stranieri)
Milano
2011
Pagg.
350
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Tra il primo e il tre settembre 2004 si
consumò una terribile strage nella scuola di Beslan numero 1 in Ossezia del
Nord, stato caucausico confinante con la Cecenia. Un commando ceceno, con
rivendicazioni nazionalistiche, tenne in ostaggio più di 1000 fra alunni e
genitori. Le teste di cuoio russe, con una formidabile prova di forza,
entrarono nella scuola: i morti furono 334.
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Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan
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Nessuno può essere restituito. Nessuno
può essere dimenticato. Nessuno può essere accusato. Come continuare a
vivere?
In queste domande senza risposta di Anna
Politkovskaja, si concentrano le questioni che il libro di Andrea Tarabbia
affronta con intensità: il male compiuto non si può cancellare, di chi è la
colpa? Di chi è cresciuto solo facendo la guerra? Di chi non conosce altro
che la violenza? Si può essere innocenti a Groznyj? Si può essere colpevoli a
Beslan?
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Lettura molto impegnativa dal punto di
vista emotivo. Sembra non ci sia limite al Male fatto e subito. Ti sembra di
essere trascinata nell’abisso della Morte e del Male assoluto.
La storia è raccontata da tre diversi
protagonisti della vicenda orribile della scuola di Beslan:
Marat, l’unico terrorista
sopravvissuto,
Petja, un bambino morto nella
strage,
Ivan, un clochard che osserva
tutto da fuori.
Petja e Ivan, però, esistono (forse)
solo negli incubi di Marat, personificazioni dei suoi sensi di colpa. Da ragazzino ceceno a Groznj vive nella disperazione della
persecuzione da parte dell’Impero, vittima di abusi, di violenze: come
lui Shamil, Ruslan, le vedove cecene, la Cieca. Inevitabile è provare empatia.
Ma queste vittime diventano torturatori,
assassini di donne e bambini: in una parola, demoni. E la nostra empatia
diventa radicale rifiuto.
La vicenda non finisce a Beslan: dal
carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso, Marat scrive la sua storia
su fogli A4 che gli vengono passati sotto la porta e ci racconta la sua
infanzia, la sua strage di Beslan, la sua prigionia in cui si combinano volontà
autodistruttiva e ricerca di una redenzione che forse può giungere solo
attraverso la scrittura-confessione.
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Andrea Tarabbia costruisce un
personaggio verisimile, con una notevole introspezione psicologica.
L’impianto narrativo è interessante: le
vicende dei protagonisti si intersecano, i punti di vista si incrociano.
Magistrali soprattutto le ultime pagine in cui anche nella sintassi dei
periodi la fine della vicenda è narrata contemporaneamente da Marat, da Petja
e da Ivan.
Il tema del terrorismo è di estrema attualità.
Il problema del bene e del male diventa
anche il problema del Bene e del Male, nelle parole di padre Alan ma,
soprattutto, nel rapporto fra Marat e il padre Aleksej, costruito in un
intenso dialogo a tu per tu, ma soprattutto grazie alla scrittura.
Forse la letteratura non è in grado di
dare le risposte: certamente, però, sa individuare le domande, sa farle
emergere. Ed è già questo, oggi, un compito essenziale.
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giovedì 16 giugno 2016
Pino Roveredo, Capriole in salita
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PARTIAMO DAL TITOLO |
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Il significato del titolo di questo bellissimo libro autobiografico di Pino Roveredo è già chiaro dalla prima pagina: ci sono strade in discesa, ma la strada della vita di Roveredo è stata in salita. Ma che sia in discesa o in salita, ogni vita richiede le sue capriole: dare una svolta, cambiare direzione o anche solo semplicemente migliorarsi. Roveredo ha passato l’incubo dell’alcolismo, del carcere, del manicomio: la sua capriola è stata necessariamente in salita. Quanta gente ho incontrato nei miei oplà in salita, persone che nella felicità del discendere mi sussurravano, gridavano, imploravano: “Non si fa così, non si può sfidare la corrente naturale della vita, guardaci e convinciti che noi siamo l’esempio, non vincerai mai nell’assurdo delle tue capriole in salita!”. Ma il riscatto è possibile. Piantando le braccia nel terreno, con la speranza del tentativo ho lanciato il mio corpo nella capriola che si libera nell’aria con la felicità della giravolta che finisce sempre con il contatto soffice del suolo: per la prima volta mi sono rialzato senza dolore, con la voglia infinita di altre mille capriole. […] Oggi se qualcuno mi dice che la vita si vive una volta sola, io posso raccontargli che no, che la vita, se ti aiutano a credere, la puoi far girare anche due volte, sì, anche due volte |
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FAR GIRARE LA VITA ANCHE DUE VOLTE |
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Oggi Pino Roveredo è una persona nuova: operatore di strada, scrittore e giornalista, fa parte di varie organizzazioni che operano in favore delle categorie disagiate. Perché il Pino trentaseienne distrutto dall’alcoolismo e prigioniero del suo passato, guardando negli occhi il suo terzogenito, ha deciso di cambiare, di fare quella capriola. Ed ora il Pino sessantenne dedica ogni sua energia a ridare agli ultimi (i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, i carcerati) la speranza che cambiare si deve, perché si può. |
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LE RECENSIONI CHE MI HANNO AIUTATO A CAPIRE QUESTO LIBRO |
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http://www.sololibri.net/Capriole-in-salita-Pino-Roveredo.html http://www.lankelot.eu/letteratura/roveredo-pino-capriole-salita.html Dal libro è stato trattato uno spettacolo teatrale: http://www.cssudine.it/media/spettacoli/323_3024_documenti.pdf |
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LE COPERTINE |
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Capriole in salita, 1996 |
Capriole in salita, 2006 |
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Una copertina illustrata in cui alto e basso, chiaro e scuro si confondono. Il pagliaccio sta facendo un’acrobazia in salita o sta ondeggiando verso il basso? Prevale il giallo/senape (la vita?) o il blu scuro (la disperazione?)? La vita è la ricerca di un equilibrio, difficilissimo da raggiungere. E non puoi risalire se prima non sei sceso in basso. |
Anche nella copertina di Bompiani, c’è un evidente contrasto fra lo sfondo nero e la ballerina ritratta al centro della scena, mentre piega un ginocchio in un gesto di grande eleganza. Un omaggio a Luciana, la moglie di Pino, a cui il libro è dedicato (A Luciana e ai miei figli per aver dato fiato al mio salto)? Un richiamo alla bella copertina di Ballando con Cecilia? Un richiamo classico ad una musa danzante, che celebra la forza rigeneratrice della poesia? |
mercoledì 15 giugno 2016
UNO SCRITTORE AL MESE: Pino Roveredo
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PINO ROVEREDO Lo scrittore delle rose |
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Il maggio scorso sul mio balcone sono nate le rose: fiori sulle spine, fiori dalle spine. Pino Roveredo è così: un uomo rinato che non ha voluto scordare il suo passato, ma ha avuto il coraggio di raccontarlo: il riscatto è possibile! Ne sono convinta anche io. Nella sua scrittura, non si può non apprezzare la scontrosa grazia di uno scrittore triestino: i contrasti si accendono, le personificazioni dei sentimenti esternano quello che di solito sta dentro, le metafore spezzano l’armonia per frammentare il discorso narrativo, così come è la vita ad essere frammentata. |
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Chi è Pino Roveredo |
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Nato a Trieste nel 1954, figlio di un calzolaio sordomuto, Pino Roveredo ha vissuto infanzia e giovinezza al margine: alcoolista, è finito in carcere e in manicomio. Oggi è una persona nuova: operatore di strada, scrittore e giornalista, fa parte di varie organizzazioni che operano in favore delle categorie disagiate. Perché il Pino trentaseienne distrutto dall’alcoolismo e prigioniero del suo passato, guardando negli occhi il suo terzogenito, ha deciso di cambiare, di fare quella capriola di cui Pino stesso parla nel suo Capriole in salita. Ed ora il Pino sessantenne dedica ogni sua energia a ridare agli ultimi (i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, i carcerati) la speranza che cambiare si deve, perché si può. |
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Ti consiglio di leggere |
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Il primo libro di Pino Roveredo è un’autobiografia di una vita difficile, perduta e poi ritrovata, con una faticose, quasi impossibili Capriole in salita (1996). |
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Con Ballando con Cecilia (2000), Roveredo entra nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste. L’io narrante è un giovane volontario, che entra nel ricovero per i malati pieno di ideali e di speranze. La sua vicenda è l’occasione per raccontare la vicenda dei ricoverati. E sempre più prende forma il personaggio di Cecilia, novantenne ricoverata da sessant’anni, a cui il giovane volontario racconta, nella danza, tutto quanto è cambiato dagli anni Quaranta ad oggi. Il ballo finale è un’occasione per far rinascere, anche solo per un attimo, giovani donne e uomini rinchiusi nei ricoverati. |
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Il libro più famoso di Roveredo è una raccolta di racconti, Mandami a dire (2004), con il quale l’autore ha vinto il Premio Campiello. Come dice la mia amica Stefania, un libro struggente. Da leggere e rileggere il racconto 100! 120! 140!: non si può non piangere. Ho amato moltissimo anche L’uomo dei coperchi: l’amore operaio per il proprio lavoro, la dedizione e la ricerca del senso della vita nei piccoli gesti quotidiani. |
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Attenti alle rose (2009)! È un monito per gli uomini: le donne sono rose, vanno curate altrimenti rischiano di appassire. Sergio, abbandonato dalla moglie, scopre intorno a sé donne straordinarie di cui mai si era accorto. Riflettendo sulla loro forza, la loro bellezza, la loro fragilità, pian piano matura nella propria consapevolezza ed ora è davvero pronto per amare |
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Bellissimo il ritratto del padre in Mio padre votava Berlinguer (2012): pieno di rimpianti per quanto non detto, di stima per un uomo che è stato coerente con le sue idee, di amore di un figlio (non modello) per un padre (amato e odiato in vita, ripensato con nostalgia ora che è morto). |
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Leggerò |
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· Una risata piena di finestre, LINT, Trieste, 1997 · La città dei cancelli, LINT, Trieste, 1998 · La bela vita, LINT, Trieste, 1998 · Cara Trieste, Il Piccolo, Trieste, 2004 · Mandami a dire, Bompiani, Trieste, 2005 · Andar per fodere/Un giro tra le pieghe di Trieste, Trieste, 2006 · Caracreatura, Bompiani, Milano, 2007 · La melodia del corvo, Bompiani, Milano, 2010 · Mastica e sputa, Bompiani, Milano, 2016 |
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lunedì 13 giugno 2016
Zerocalcare, Dimentica il mio nome
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PRIMA DI LEGGERE
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Non conosco il mondo dei fumetti e
confesso di aver sempre guardato ai baloons con una certa superficialità. La
lettura di Maus di Art Spiegelman, a gennaio, poi di Kobane calling
di Zerocalcare mi ha fatto cambiare idea. Mi sono messa a leggere in modo più
libero Dimentica il mio nome: mi è piaciuto moltissimo
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IL FUMETTO
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Una situazione normale: la cara nonna muore,
c’è un lutto da elaborare per il giovane fumettista Zerocalcare. La ricerca
di un anello che la nonna vuole portare con sé nella tomba segna l’inizio
dell’avventurosa scoperta del passato della famiglia.
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Ma, sotto il gioco del thriller, si
nasconde qualcosa d’altro: un giovane che diventa un uomo deve affrontare e
superare paure infantili, mostri terribili. Le sue certezze di un tempo
perdono la loro solidità: la madre rivela nuove sfaccettature (insieme ad un’altra
identità), l’orsacchiotto Pisolone diventa una grizzly che vorrebbe impedire
al ragazzo di diventare uomo.
La profezia della nonna, però, si
compie: non morirà fino a quando il nipote non diventerà un uomo. È la lotta
con Pisolone-grizzly, a cui Zerocalcare non si sottrare, il rito iniziatico
atteso dalle prime tavole del fumetto.
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LE COPERTINE
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Straordinaria copertina: la nonna ancora
bambina fugge insieme a nipote Zerocalcare dai mostri dell’infanzia che incombono
sulla strana coppia.
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Copertina più didascalica: i personaggi
della vicenda ci guardano proiettati su un cielo azzurro. Gli sguardi sono
inquietanti, ma troppo sottintesa resta la paura, nonché il tema del
passaggio dall’infanzia all’età adulta, fondamentale nel fumetto.
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