mercoledì 22 giugno 2016

Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan

Andrea Tarabbia
Il demone a Beslan
Mondadori (Scrittori italiani e stranieri)
Milano 2011
Pagg. 350
Tra il primo e il tre settembre 2004 si consumò una terribile strage nella scuola di Beslan numero 1 in Ossezia del Nord, stato caucausico confinante con la Cecenia. Un commando ceceno, con rivendicazioni nazionalistiche, tenne in ostaggio più di 1000 fra alunni e genitori. Le teste di cuoio russe, con una formidabile prova di forza, entrarono nella scuola: i morti furono 334.
Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan
SULLA COPERTINA
Nessuno può essere restituito. Nessuno può essere dimenticato. Nessuno può essere accusato. Come continuare a vivere?
In queste domande senza risposta di Anna Politkovskaja, si concentrano le questioni che il libro di Andrea Tarabbia affronta con intensità: il male compiuto non si può cancellare, di chi è la colpa? Di chi è cresciuto solo facendo la guerra? Di chi non conosce altro che la violenza? Si può essere innocenti a Groznyj? Si può essere colpevoli a Beslan?
CHE COSA NE PENSO
Lettura molto impegnativa dal punto di vista emotivo. Sembra non ci sia limite al Male fatto e subito. Ti sembra di essere trascinata nell’abisso della Morte e del Male assoluto.
La storia è raccontata da tre diversi protagonisti della vicenda orribile della scuola di Beslan:
      Marat, l’unico terrorista sopravvissuto,
      Petja, un bambino morto nella strage,
      Ivan, un clochard che osserva tutto da fuori.
Petja e Ivan, però, esistono (forse) solo negli incubi di Marat, personificazioni dei suoi sensi di colpa. Da ragazzino ceceno a Groznj vive nella disperazione della persecuzione da parte dell’Impero, vittima di abusi, di violenze: come lui Shamil, Ruslan, le vedove cecene, la Cieca. Inevitabile è provare empatia.
Ma queste vittime diventano torturatori, assassini di donne e bambini: in una parola, demoni. E la nostra empatia diventa radicale rifiuto.
La vicenda non finisce a Beslan: dal carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso, Marat scrive la sua storia su fogli A4 che gli vengono passati sotto la porta e ci racconta la sua infanzia, la sua strage di Beslan, la sua prigionia in cui si combinano volontà autodistruttiva e ricerca di una redenzione che forse può giungere solo attraverso la scrittura-confessione.
PERCHÈ QUESTO LIBRO VA LETTO
Andrea Tarabbia costruisce un personaggio verisimile, con una notevole introspezione psicologica.
L’impianto narrativo è interessante: le vicende dei protagonisti si intersecano, i punti di vista si incrociano. Magistrali soprattutto le ultime pagine in cui anche nella sintassi dei periodi la fine della vicenda è narrata contemporaneamente da Marat, da Petja e da Ivan.
Il tema del terrorismo è di estrema attualità.
Il problema del bene e del male diventa anche il problema del Bene e del Male, nelle parole di padre Alan ma, soprattutto, nel rapporto fra Marat e il padre Aleksej, costruito in un intenso dialogo a tu per tu, ma soprattutto grazie alla scrittura.
Forse la letteratura non è in grado di dare le risposte: certamente, però, sa individuare le domande, sa farle emergere. Ed è già questo, oggi, un compito essenziale.

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