Andrea Tarabbia
Il demone a Beslan
Mondadori
(Scrittori italiani e stranieri)
Milano
2011
Pagg.
350
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Tra il primo e il tre settembre 2004 si
consumò una terribile strage nella scuola di Beslan numero 1 in Ossezia del
Nord, stato caucausico confinante con la Cecenia. Un commando ceceno, con
rivendicazioni nazionalistiche, tenne in ostaggio più di 1000 fra alunni e
genitori. Le teste di cuoio russe, con una formidabile prova di forza,
entrarono nella scuola: i morti furono 334.
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Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan
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Nessuno può essere restituito. Nessuno
può essere dimenticato. Nessuno può essere accusato. Come continuare a
vivere?
In queste domande senza risposta di Anna
Politkovskaja, si concentrano le questioni che il libro di Andrea Tarabbia
affronta con intensità: il male compiuto non si può cancellare, di chi è la
colpa? Di chi è cresciuto solo facendo la guerra? Di chi non conosce altro
che la violenza? Si può essere innocenti a Groznyj? Si può essere colpevoli a
Beslan?
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Lettura molto impegnativa dal punto di
vista emotivo. Sembra non ci sia limite al Male fatto e subito. Ti sembra di
essere trascinata nell’abisso della Morte e del Male assoluto.
La storia è raccontata da tre diversi
protagonisti della vicenda orribile della scuola di Beslan:
Marat, l’unico terrorista
sopravvissuto,
Petja, un bambino morto nella
strage,
Ivan, un clochard che osserva
tutto da fuori.
Petja e Ivan, però, esistono (forse)
solo negli incubi di Marat, personificazioni dei suoi sensi di colpa. Da ragazzino ceceno a Groznj vive nella disperazione della
persecuzione da parte dell’Impero, vittima di abusi, di violenze: come
lui Shamil, Ruslan, le vedove cecene, la Cieca. Inevitabile è provare empatia.
Ma queste vittime diventano torturatori,
assassini di donne e bambini: in una parola, demoni. E la nostra empatia
diventa radicale rifiuto.
La vicenda non finisce a Beslan: dal
carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso, Marat scrive la sua storia
su fogli A4 che gli vengono passati sotto la porta e ci racconta la sua
infanzia, la sua strage di Beslan, la sua prigionia in cui si combinano volontà
autodistruttiva e ricerca di una redenzione che forse può giungere solo
attraverso la scrittura-confessione.
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Andrea Tarabbia costruisce un
personaggio verisimile, con una notevole introspezione psicologica.
L’impianto narrativo è interessante: le
vicende dei protagonisti si intersecano, i punti di vista si incrociano.
Magistrali soprattutto le ultime pagine in cui anche nella sintassi dei
periodi la fine della vicenda è narrata contemporaneamente da Marat, da Petja
e da Ivan.
Il tema del terrorismo è di estrema attualità.
Il problema del bene e del male diventa
anche il problema del Bene e del Male, nelle parole di padre Alan ma,
soprattutto, nel rapporto fra Marat e il padre Aleksej, costruito in un
intenso dialogo a tu per tu, ma soprattutto grazie alla scrittura.
Forse la letteratura non è in grado di
dare le risposte: certamente, però, sa individuare le domande, sa farle
emergere. Ed è già questo, oggi, un compito essenziale.
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mercoledì 22 giugno 2016
Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan
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